San Leucio
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SAN LEUCIO
Nella parte più alta di Veroli, ancora accanto al piccolo cimitero, sorge la chiesa di S. Leucio. Il suo aspetto modesto, di una povertà davvero francescana, non lascia presupporre che sia stata, lei soltanto, l'oggetto di un interessante studio da parte del Prof. Arduino Scaccia Scarafoni, che in una sua pubblicazione è riuscito a metterne in luce le singolari caratteristiche architettoniche.
Entrando nell'antica navata, stretta e lunga, chiusa da un tetto basso e dalle travi distorte, debolmente illuminata da una luce che a fatica riesce a filtrare dalle scarse aperture, ci si sente insolitamente umili e bisognosi di raccoglimento. Nella mistica penombra, ai lati della porta d'ingresso, si intravvedono appena alcune figure di santi affrescati intorno alla metà del XIV secolo. In corrispondenza della seconda capriata fu murata una misera lapide che ricorda l'anno della dedicazione della chiesa: 1079. Vale la pena riportare l'iscrizione, difficilmente leggibile a prima vista per la rozzezza delle lettere incise e per le numerose abbreviazioni: AN.O D. MILLXXVIIII IND. II IN SE/DE V.O AP.LICA URB. ROME P./SIDENTE G.GO VII P.P. Ili (?) F. / DEDTC TEMPLUM IN ONORE /SCI LEUCI CO.F UBI RECONDITE SUNT RELIQE S COR. ERASMI DOMINICI / ET SSAR. AGAPE CIO-NIE IRENE RES/TITUTE EX LINTEI S. LAU.NTI PARTICULA MU-STIOLE. (Nell'anno del Signore 1079, seconda indizione, nella Sede Apostolica della Città di Roma, essendo per la verità regnante il Papa Gregorio VII, nel terzo (giorno) del mese di febbraio è stata dedicata (questa) chiesa in onore di S. Leucio Confessore. In tale occasione vi sono state riposte le reliquie dei corpi di S. Erasmo, di S. Domenico e delle sante Agape, Chioma, Irene e Restituta, oltre ad alcune parti della veste di S. Lorenzo e una piccola parte di Santa Mustiola).
Facilmente l'iscrizione risale al tempo di un ampliamento della chiesa, che ci lasciano presupporre l'eccessiva lunghezza della navata (circa 20 metri per 7) e un maggiore intervallo tra le prime capriate. Le cappelle laterali, evidenti aggiunte di epoche successive, e l'acquasantiera, che reca incisa alla base la data 1602, non meritano particolare attenzione. Ciò che di S. Leucio interessa è la singolarità della pianta nella sua parte posteriore, e cioè l'esistenza di un ambiente (sacrestia o diaconio) separato dal resto della chiesa e provvisto di una abside la cui curva rimane nel profilo esterno della chiesa stessa, senza far parte del presbiterio, come accade invece in costruzioni abruzzesi (Santa Maria di Ronzano) e pugliesi (Duomo Vecchio di Molfetta e S. Nicola di Bari), a loro volta precedute da basiliche siriache e armene: Rusafah, Dirak-lar, Siruvanzuk, Astarak (V-VI sec), Ereruk (VI-VII sec.) e Shirakavan (fine IX sec), molte delle quali a navata unica, ma tutte con abside interna.
Il dubbio che a S. Leucio la parete separatrice fosse una modifica della struttura originaria, venne dissipato da un'accurata indagine di molti anni addietro, quando furono effettuati "assaggi nel piano sopraelevato a tergo del presbiterio", e fu constatato che il muro divisorio non mostrava "alle testate alcuna sutura con quello di perimetro della chiesa". (A. Scaccia Scarafoni, La chiesa di S. Leucio nella Rocca di Veroli, 1953). Che questa sia nata con un ambiente direi quasi staccato rispetto al resto della costruzione e sicuramente adibito a diaconio, è confermato dalla funzionalità della piccola sacrestia: possibilità di lavare i sacri vasi (come dimostrava la vaschetta in pietra murata in un angolo), di suonare le campane e di custodire negli armadi a muro, di cui rimangono visibili tracce, "libri sacri, registri della parrocchia, ceri, arredi e magari il tesoro della chiesa che, in caso di necessità, il diacono doveva distribuire" (A. Scaccia Scarafoni). Anche la presenza del Crocifisso difronte all'abside, probabile opera del Frezzi (sec. XVI), dimostrerebbe la perfetta osservanza delle disposizioni liturgiche del tempo.
Gli affreschi medioevali ovvero il culto di Santa Barbara e dei Santi Cosma e Damiano
Marcello Stirpe // rione e la chiesa parrocchiale di S. Leucio..., cit.
Gli affreschi del sec. XIV che, a S. Leucio, compaiono sul lato destro dell'ingresso, sono stati portati alla luce dal parroco Don Valentino Tarquini, incuriosito dall'abitudine di alcuni vecchi soliti pregare rivolti verso la parete di fondo, completamente imbiancata. Un dipinto, quasi del tutto rovinato, è ormai irriconoscibile; gli altri, meglio conservati, sono facilmente identificabili.
Il primo dipinto raffigura Santa Barbara, martire di origine orientale, particolarmente invocata contro la morte improvvisa. E' riconoscibile per la peculiarità dei suoi attributi iconografici: la palma (simbolo del martirio), la corona (perché figlia di imperatore), il vaso per l'olio sacro (quale propiziazione di una morte confortata dai sacramenti). A Veroli questa santa fu particolarmente venerata in epoca medioevale. Altri dipinti a lei ispirati si trovano nella chiesa di Santa Salome, patrona della città. L'immagine più antica è quella che compare tra gli altri santi che decorano il catino absidale della cripta degli Innocenti; un'altra, del sec. XVII, è nella sacrestia della stessa chiesa. A Santa Barbara inoltre era dedicata una chiesa tra le più importanti e più antiche della città nel rione di Pietra Lata (l'esatta ubicazione si rileva da un documento dell'archivio parrocchiale di S. Paolo). Durante la presente ricerca è stato casualmente rinvenuto un canto popolare del Due-Trecento, ispirato alla sua leggenda agiografica, la cui importanza è stata da tempo segnalata dagli studiosi di storia delle tradizioni popolari (Toschi, Santoli, ecc).
Le altre due immagini raffigurate nell'affresco di S. Leucio rappresentano rispettivamente i Santi Cosma (vecchio e barbuto) e Damiano d'aspetto più giovanile), martiri molto venerati nell'antichità perché considerati guaritori anargiri (prestavano cure mediche senza compenso). I due santi, avvolti in classici paludamenti, recano in mano un rotolo con iscrizione e richiamano alla mente quelli raffigurati nella chiesa di Santa Maria Antiqua in Roma. Pur essendo privi di attributi specifici, la loro identità è certa e trova conferma in una secolare tradizione orale mantenutasi fino ai nostri giorni. Pregevoli dipinti raffiguranti i Santi Cosma e Damiano sono visibili anch'essi nella chiesa di Santa Salome. Il 27 settembre si celebrava la loro festa nella chiesa di Santa Croce, dove esisteva una cappella a loro dedicata, con un quadro di antica fattura.
La chiesa di S. Leucio e i monaci di S. Basilio
Domenico Rotundo
Un probabile monastero calabro-bizantino a Veroli, in Lazio ieri e oggi, marzo 1981.
Gli studiosi, a cominciare da Arduino Scaccia Scarafoni, hanno evidenziato le inconsuete, nel Frusinate, caratteristiche architettoniche e cultuali della chiesa di S. Leucio senza però avanzare esplicitamente l'ipotesi che entro le antiche mura della chiesetta verolana siano potuti risuonare, in tempi remoti e proprio in una regione così intensamente pervasa di latinità, i suggestivi canti liturgici dei monaci di S. Basilio. Il Bussagli sottolinea che "esistono qui problemi riguardanti apporti ed influssi di origine asiatica che di solito vengono trascurati quando non sono addirittura ignorati", mentre il Trulli pone l'accento sulla "singolarità della pianta nella sua parte posteriore e cioè l'esistenza di un ambiente (sacrestia o diaconio) separato dal resto della chiesa e provvisto di un'abside la cui curva rimane nel profilo esterno della chiesa stessa, senza far parte del presbiterio". Ora, le caratteristiche iconografiche che il Trulli con tanta competenza mette in rilievo per S. Leucio (navata unica a forma rettangolare, diaconicon, unica abside sporgente e orientata al sorgere del sole) in Italia trovano riscontro e capillare diffusione massimamente in una circoscritta area culturale e cioè in Calabria. La particolare posizione sulla sommità della roccia e l'ambiente fisico in cui la chiesetta è collocata, rafforza in noi la convinzione che S. Leucio quasi certamente dovette essere un monastero basiliano rupestre, del tipo consueto nella parte estrema della Penisola. Probabilmente si trattò di una laura (centro monastico formato da modestissime abitazioni o da grotte, dove vivevano isolatamente i monaci, e raggruppate intorno ad una unica chiesetta comune a tutti gli asceti) oppure di un cenobio, cioè di un monastero in cui gli asceti vivevano in comunità.
Del resto è certo che in Ciociaria i basiliani calabresi ospiti di Montecassino fondarono alcuni conventi. A conforto della nostra tesi circa S. Leucio, c'è anche l'usanza dei basiliani di piantare un albero davanti al monastero da loro fondato: davanti alla chiesetta di S. Leucio, infatti, ce n'è uno che sembra richiamarsi a questa tradizione, mentre davanti alla chiesa del monastero di S. Demetrio Corone, in Calabria, sussiste ancora l'olmo piantato da S. Nilo. Un'altra caratteristica tipicamente basiliana (che rimase a lungo nel costume calabrese) era il pensiero della morte: a questa concezione della vita in funzione della morte si deve forse il teschio in pietra (ora scomparso) collocato su un muro adiacente la chiesa di S. Leucio.
Che S. Leucio in origine dovette essere una piccola abazia ce lo conferma anche il fatto che il parroco attuale ha conservato il titolo di abate (nel XII secolo il priore di S. Leucio e quello di S. Michele Arcangelo assunsero la guida spirituale della popolazione della parte più alta di Veroli, che evidentemente si era addensata attorno alla piccola chiesa verolana).
Abbiamo accennato, all'inizio, all'atipicità cultuale di S. Leucio. E difatti S. Leucio Confessore è un santo di origine orientale (nacque ad Alessandria d'Egitto) che in epoca bizantina fu molto venerato in Calabria e nell'Italia meridionale in genere, dove visse e compì numerosi miracoli. Altri santi d'origine d'origine bizantino-orientale furono venerati a S. Leucio; altri ancora sono menzionati nell'epigrafe che ricorda l'anno (1079) dell'ampliamento della chiesa XVI.